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Petricor è l’odore che si sente quando piove sulla terra secca, sui sassi, le foglie vecchie, sui muri a secco

Il termine è stato coniato nel 1964 dai ricercatori australiani Bear e Thomas, creato componendo il greco pétra, pietra e ichór, essudato,

sangue degli dei.

È un odore tanto meraviglioso quanto ineffabile, che solo una costruzione poetica può rendere.
E che varia a seconda di quale terra riarsa venga bagnata dalla pioggia.

 

Ciascuno di noi ha in mente un momento in cui ha sentito quell’odore.
Il mio porta al naso e allo spirito qualcosa denso di significato, che parla della mia Liguria.

 

Il termine è stato coniato nel 1964 dai ricercatori australiani Bear e Thomas, creato componendo il greco pétra, pietra e ichór, essudato,

sangue degli dei.

È un odore tanto meraviglioso quanto ineffabile, che solo una costruzione poetica può rendere.
E che varia a seconda di quale terra riarsa venga bagnata dalla pioggia.

 

Ciascuno di noi ha in mente un momento in cui ha sentito quell’odore.
Il mio porta al naso e allo spirito qualcosa denso di significato, che parla della mia Liguria.

 

Coltiviamo sassi e ci piace anche. L’idea è semplice ma realizzarla è la vera sfida.

 

Da bambina, andavo spesso con mio nonno in quello che credo fosse il suo uliveto preferito, Cà Sottane. C’era una grande vasca d’acqua rettangolare, ci teneva le trote, una cosa insolita. Normalmente i pozzi in campagna sono rotondi e disabitati.

L’estate scorsa sono tornata a Cà Sottane, ho ripercorso la mia infanzia, i suoi sapori, i suoi odori. Le scorribande estive, di quando tornavo a casa fradicia dopo un temporale che ti coglie di sorpresa. E così, immersa in queste sensazioni, ho ritrovato molto di quello che avevo perso.

Coltiviamo sassi e ci piace anche. L’idea è semplice ma realizzarla è la vera sfida.

Da bambina, andavo spesso con mio nonno in quello che credo fosse il suo uliveto preferito, Cà Sottane. C’era una grande vasca d’acqua rettangolare, ci teneva le trote, una cosa insolita. Normalmente i pozzi in campagna sono rotondi e disabitati.

 

L’estate scorsa sono tornata a Cà Sottane, ho ripercorso la mia infanzia, i suoi sapori, i suoi odori. Le scorribande estive, di quando tornavo a casa fradicia dopo un temporale che ti coglie di sorpresa. E così, immersa in queste sensazioni, ho ritrovato molto di quello che avevo perso.

Mio nonno non c’è più e nemmeno le trote ma sono rimasti un albero di limoni e uno di fichi.
Mi sono chiesta perché avessero piantato quegli alberi da frutta proprio lì, in mezzo al nulla, tra gli ulivi…non li ricordavo.
Poi ho scoperto che i vecchi, specialmente d’estate, portavano con loro in campagna solo pane e salame, per dissetarsi attingevano ai pozzi e spremevano i limoni, mentre per un po’ di zuccheri, mangiavano fichi. Oggi possiamo portiamo con noi la bottiglia dell’acqua e i limoni li andiamo a raccogliere quando ci ricordiamo, mentre i fichi sovente li lasciamo a marcire.

Anche questa è una forma di abbandono: dimenticare volontariamente una storia recente. Ma io non voglio farlo, io voglio coltivare questa terra fatta di sassi, pietre e scaglie; voglio prendere quello che mi può dare, non dimenticare, non sprecare. Voglio valorizzarla.

Mio nonno non c’è più e nemmeno le trote ma sono rimasti un albero di limoni e uno di fichi.
Mi sono chiesta perché avessero piantato quegli alberi da frutta proprio lì, in mezzo al nulla, tra gli ulivi…non li ricordavo.
Poi ho scoperto che i vecchi, specialmente d’estate, portavano con loro in campagna solo pane e salame, per dissetarsi attingevano ai pozzi e spremevano i limoni, mentre per un po’ di zuccheri, mangiavano fichi. Oggi possiamo portiamo con noi la bottiglia dell’acqua e i limoni li andiamo a raccogliere quando ci ricordiamo, mentre i fichi sovente li lasciamo a marcire.

Anche questa è una forma di abbandono: dimenticare volontariamente una storia recente. Ma io non voglio farlo, io voglio coltivare questa terra fatta di sassi, pietre e scaglie; voglio prendere quello che mi può dare, non dimenticare, non sprecare. Voglio valorizzarla.

In Petricor coltiviamo sassi
perché è quello che ci hanno insegnato tanto tempo fa
e che non abbiamo dimenticato:
preservare quello che non puoi consumare
nell’immediato, non buttare via niente, trasformare.
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